venerdì 18 maggio 2007

Pensiero Organizzativo

di Lucio Iaccarino e Cinzia Massa

la Repubblica, 17 maggio 2007


Ha ancora senso continuare a ragionare in termini organizzativi in un mondo nel quale si rischia «di essere risucchiati da un vortice in cui tutte le realtà e tutti i valori sono annullati, esplosi, decomposti?» La risposta che Vincenzo Moretti offre nella seconda edizione del suo Dizionario del pensiero organizzativo (Ediesse, Roma, 2007), appena uscito in libreria, è sorprendente, da almeno due punti di vista. Il primo si riferisce al “mezzo” utilizzato, poiché cerca di offrire una prospettiva inedita, praticando un approccio innovativo, sperimentale, reticolare, per leggere le strutture, i processi, i soggetti della storia. I termini selezionati, a loro volta, sono nodi ai quali si connettono i tanti sentieri del sapere organizzativo, rendendo questo strumento, un ipertesto agile ed esaustivo. Il secondo si riferisce al perno che aggiorna questa seconda edizione, che poggia sullo sviluppo teorico di quattro movimenti e, come in una composizione concertistica, prova ad armonizzare le 113 voci del dizionario. Il primo movimento è quello della razionalità di Weber e Taylor. Il secondo è dedicato ai processi che sviluppano soggettività, imperfezione, anomalia, esaltato negli apporti di Barnard, Crozier, Mayo, March, Merton, Simon, Woodward. Il terzo enfatizza i fattori istituzionali e ambientali, utili nell’analisi delle strutture e dei processi organizzativi, sulla scia tracciata da Williamson, Ouchi, Stinchcombe, Hannan, Freeman, Meyer, Rowan, Powell e DiMaggio. Infine, il quarto, quello che ha tra i suoi protagonisti Schein, Martin, Kunda, Schon, Weick, dove la burocrazia e l’impresa possono essere comprese, ma solo a partire dalle loro culture, anteponendo, nella determinazione dei successi e dei fallimenti, i soggetti alle strutture.
L’idea è che i processi d’apprendimento e di costruzione di senso, la qualità e la quantità dei sistemi di relazione, le reti di conoscenza, rappresentino i tre pilastri che ridanno valore alla condizione umana espressa in termini di cittadinanza. Ma è la dignità del lavoro ad essere affermata con vigore, sia come argine contro gli attacchi alla persona, sia come opportunità di ricercare la strada interpretativa migliore, nell’impegno costante di dare senso all’esistenza. In questo, l’autore svela il suo background di dirigente nazionale della CGIL, motivato ad attualizzare la questione del lavoro, non abbandonando mai l’esigenza di edificare cultura. La sua è una mediazione difficile, costantemente impegnata nella ricerca di un equilibrio teorico, salvando le buone tradizioni di epoca fordista, pur scommettendo sulla conquista di autonomia e responsabilità a cui il lavoratore è chiamato nell’età della lean production. Sono le stesse trasformazioni, intervenute nell’agire organizzativo, a mobilitare l’attenzione attorno ai quattro movimenti. Mentre, sembra quasi che ne sopraggiunga un quinto, capace di ricongiungere, in forma circolare, le derive più anarchiche del pensiero organizzativo alle tensioni assolutizzanti della razionalità weberiana e taylorista.
Il valore della conoscenza, i processi di sensemaking, i sistemi relazionali sono le chiavi prescelte dall’autore, per riconoscere le abilità, curando il sé e, nello stesso istante, conquistando il rispetto dell’altro. L’organizzazione, sotto il peso delle risorse più immateriali, rischia di sbriciolarsi o di rendersi invisibile agli occhi più conservatori, ma Moretti, pur in presenza di una complessità crescente, non rinuncia mai ad orientarsi, osteggiando, con i suoi numerosi spartiti, quanti si arrovellano dietro le resistenze culturali che l’organizzazione oppone al cambiamento. A dispetto della trasformazione, i processi di organizing, mantengono intatta la loro missione fondativa di una società, considerata nella sua interezza. Mentre, l’economia e la politica esprimono ancora organizzazioni capaci di contribuire a ridurre le diseguaglianze, favorendo la formazione e assecondando le attitudini dei singoli.
Moretti comincia un vero e proprio gioco paradigmatico, basato sulla possibilità di passare dalla centralità delle strutture a quella dei processi, dalle organizzazioni alle persone, dall’oggetto al soggetto, rendendo la sua opera un indispensabile kit di riferimento per cimentarsi nella comprensione dell’agire organizzativo. L’autore chiude il volume con un breve scritto che chiama “post-it” (anch’esso prodotto in omaggio alla nuova edizione), dedicato alle caratteristiche, alle funzioni e ai bisogni connettivi tipici della società digitale, per affermare che proprio le interdipendenze rappresentano il grimaldello per scrutare tra i segni del tempo, leggere tra i mille volti del cambiamento, costruendo spazi teorici condivisi, capaci di comunicare grazie ad un coro polifonico tutto da scoprire.

1 commento:

Mella ha detto...

Molto interessante!
Marco M.